Abbiamo incontrato Marco Sassi, sindaco di Cerro al Lambro ormai alla fine del secondo mandato, che ci ha accolti gentilmente per raccontarci gioie, dolori e fatiche dell’esperienza di amministratore pubblico.
Partiamo da questa emergenza, che è stata gestita in un modo molto sobrio, che ci ha colpito. Come hai fatto?
Non ero preparato, e non ho fatto corsi di apprendimento per comunicare in fase di pandemia. L’ho fatto in maniera molto naturale pensando che, se fossi stato dall’altra parte, avrei voluto capire cosa stava succedendo, senza stare lì a fare tante valutazioni sulla forma. Quello che interessava nella fase più critica era capire come stesse andando la situazione sanitaria a livello locale, perché la mancanza di informazioni ufficiali lasciava spazio al dubbio che si volesse nascondere una situazione che poteva essere più grave. Ho provato a spiegare che ero autorizzato a comunicare solo i dati che mi pervenivano in via ufficiale, prima dalla Prefettura e poi da Ats. Ho deciso di comunicare quotidianamente i dati pervenuti utilizzando la pagina Facebook del Comune, sempre con la mia firma, in modo che fosse chiaro chi stava guidando la nave, cosa provava e le difficoltà che si incontravano. Tutto ciò in maniera direi molto tranquilla, senza enfatizzare quello che si stava facendo, in una sorta di diario che faceva giorno per giorno il punto della situazione. Ho anche voluto sottolineare che non sempre eravamo attrezzati per prendere provvedimenti per intervenire in maniera tempestiva. Non ho un responsabile della comunicazione, e ho quindi deciso di avviare io stesso da subito le comunicazioni quotidiane perché ritenevo fosse necessario inviare una sorta di bollettino che fosse puntuale, che potesse far capire che qualcuno stava seguendo la situazione e ci stava mettendo tutto l’impegno necessario. Penso di poter dire che ogni sera la gente si aspettava la pubblicazione di questo bollettino, apprezzandone lo stile. Non c’è stato niente di costruito, mi è sempre venuto spontaneo scrivere quelle poche righe che hanno anche rassicurato molti concittadini.
I sindaci hanno dovuto fare un lavoro di raccordo anche con le altre istituzioni.
Ripenso alla prima volta che siamo stati coinvolti: era ancora una domenica di febbraio, ci era stata consegnata una lettera dai carabinieri, con i nominativi di chi era già stato messo in quarantena o era positivo; nei giorni seguenti via via siamo passati a comunicazioni alla pec personale del sindaco e infine al portale di Ats. Da subito si è chiesto ai sindaci di contattare telefonicamente queste persone per capire se avevano bisogno di qualunque forma di aiuto. C’è stata una vera e propria presa in carico di queste situazioni, ma la parte psicologicamente più pesante è giunta con i primi ricoveri, e quando non pervenivano notizie certe sullo stato di salute. Nella fase più acuta il mantenere i contatti con le famiglie delle persone malate mi ha molto coinvolto dal punto di vista umano. Mi rimarrà a lungo questo ricordo. Ripenso a qualche telefonata, il coinvolgimento era tale da farti mancare le parole e al termine avevi bisogno di farti un pianto per i fatti tuoi. Grazie a Dio da noi i numeri sono stati contenuti, con 22 positivi e putroppo 5 decessi di cui 3 di persone ricoverati in case di riposo. La fase acuta è stata sicuramente pesante, ma riguardando indietro spero che quelle telefonate, quell’essere presenti, vicini in qualche modo, siano stati di aiuto alle famiglie. Abbiamo attivato la protezione civile per le prime necessità e la polizia locale per la verifica domiciliare delle persone in quarantena. Quando siamo passati al portale di ATS la situazione era più organizzata, anche se i dati non erano sempre aggiornati tanto che a volte i riscontri arrivavano prima dai medici di base che hanno svolto un lavoro prezioso. È stato un lavoro di squadra, perché penso che una situazione del genere non si possa gestire in autonomia, visto che i soggetti coinvolti sono tanti e non è il caso di fare i primi della classe, ma di tirare su le maniche e lavorare per venirne fuori insieme, umanamente.
Questo aspetto legato all’umanità emerge anche negli atti. Spesso parli più di comunità che di paese o di amministrazione. È un dettaglio che ci ha colpito.
L’ho sempre chiamata comunità perché sono certo che lo sia. Con i mille difetti che ha Cerro al Lambro, è una comunità che sa esprimere un tessuto di volontariato eccezionale, con gente che si mette a disposizione nelle associazioni. Però noi abbiamo scavalcato un po’ anche l’idea di volontariato rispetto alle associazioni, perché quando il Comune ha chiesto direttamente una mano per fare alcune cose, la gente non si è rintanata dietro il concetto “paghiamo le tasse quindi sono fatti tuoi” come spesso si sente dire. Abbiamo infatti realizzato tanti progetti: bicibus, pedibus, servizi di accompagnamento agli anziani, tutti con volontari che si sono messi a disposizione, sapendo che lo facevano per il Comune e ovviamente, tramite il Comune, per i concittadini che potevano beneficiare di quei nuovi servizi. Spero che sia stato anche merito del lavoro che abbiamo fatto in questi anni. Se provi a far passare l’idea che apparteniamo tutti a questa comunità, poi magari non raccoglierai frutti abbondantissimi ma, come dimostra la nostra situazione, un buon raccolto lo puoi portare a casa. Secondo me su questo un po’ di lavoro c’è stato. Ed è stato così anche con la raccolta fondi, vi assicuro che tanti hanno risposto con generosità. Abbiamo lanciato l’idea delle magliette di Cerro al Lambro per supportare l’ospedale di Vizzolo, e in un attimo ne abbiamo vendute quasi 280. Secondo me, sono piccole cose, ma lasciano intendere che c’è quella sensibilità e quella generosità della gente che si sente parte di una comunità e risponde.
Quanto conta l’ascolto, per un amministratore, che, sembra di capire, almeno da quello che dici, abbia un particolare valore?
Ovviamente conta tanto, anche se a volte è faticoso.
È onesto ammetterlo.
Ci mancherebbe altro, anche perché sono abituato a rispondere puntualmente. Mi dedico un giorno alla settimana a ricevere i cittadini, c’è la mail, ci sono gli uffici a disposizione, tutti i canali istituzionali che la gente deve imparare a usare. Sono fatto così: non ho mai negato un appuntamento a nessuno. Dico sempre che ormai il mio numero di cellulare è più la gente che ce l’ha di quella che non ce l’ha. È faticoso, ma ti obbliga in qualche modo a sentire la necessità di avere quel confronto con chi ha il polso della situazione, se no entri in un vortice di problemi che ti fanno perdere il controllo della situazione. Non è sempre facile, ma lo dico sempre: in questi dieci anni sono venute anche persone a chiedermi di togliere loro la multa, e non ne ho mai tolta una. Non so, forse per la mia pacatezza, credo, ma nessuno è uscito alterato, perché la mia mezz’ora o la mia ora a chi pensava di non dover pagare la multa, io comunque l’ho dedicata ribadendo il fatto che le norme sono quelle e vanno rispettate, che ci sono le possibilità di fare ricorso, ma non può passare l’idea che uno va dal sindaco e a seconda della sua interpretazione si fa togliere la multa. È un po’ quello, credo, che ho cercato di trasmettere: che non c’è Superman a fare il sindaco, che non c’è qualcuno di altezzoso che è sicuro di quello che sta facendo, ma c’è uno che ha messo a disposizione tempo e risorse per la comunità, magari sbagliando anche. Per questo raccomando sempre anche ai giovani di impegnarsi per ritrovarsi da questa parte della scrivania.
Partiamo da questa emergenza, che è stata gestita in un modo molto sobrio, che ci ha colpito. Come hai fatto?
Non ero preparato, e non ho fatto corsi di apprendimento per comunicare in fase di pandemia. L’ho fatto in maniera molto naturale pensando che, se fossi stato dall’altra parte, avrei voluto capire cosa stava succedendo, senza stare lì a fare tante valutazioni sulla forma. Quello che interessava nella fase più critica era capire come stesse andando la situazione sanitaria a livello locale, perché la mancanza di informazioni ufficiali lasciava spazio al dubbio che si volesse nascondere una situazione che poteva essere più grave. Ho provato a spiegare che ero autorizzato a comunicare solo i dati che mi pervenivano in via ufficiale, prima dalla Prefettura e poi da Ats. Ho deciso di comunicare quotidianamente i dati pervenuti utilizzando la pagina Facebook del Comune, sempre con la mia firma, in modo che fosse chiaro chi stava guidando la nave, cosa provava e le difficoltà che si incontravano. Tutto ciò in maniera direi molto tranquilla, senza enfatizzare quello che si stava facendo, in una sorta di diario che faceva giorno per giorno il punto della situazione. Ho anche voluto sottolineare che non sempre eravamo attrezzati per prendere provvedimenti per intervenire in maniera tempestiva. Non ho un responsabile della comunicazione, e ho quindi deciso di avviare io stesso da subito le comunicazioni quotidiane perché ritenevo fosse necessario inviare una sorta di bollettino che fosse puntuale, che potesse far capire che qualcuno stava seguendo la situazione e ci stava mettendo tutto l’impegno necessario. Penso di poter dire che ogni sera la gente si aspettava la pubblicazione di questo bollettino, apprezzandone lo stile. Non c’è stato niente di costruito, mi è sempre venuto spontaneo scrivere quelle poche righe che hanno anche rassicurato molti concittadini.
I sindaci hanno dovuto fare un lavoro di raccordo anche con le altre istituzioni.
Ripenso alla prima volta che siamo stati coinvolti: era ancora una domenica di febbraio, ci era stata consegnata una lettera dai carabinieri, con i nominativi di chi era già stato messo in quarantena o era positivo; nei giorni seguenti via via siamo passati a comunicazioni alla pec personale del sindaco e infine al portale di Ats. Da subito si è chiesto ai sindaci di contattare telefonicamente queste persone per capire se avevano bisogno di qualunque forma di aiuto. C’è stata una vera e propria presa in carico di queste situazioni, ma la parte psicologicamente più pesante è giunta con i primi ricoveri, e quando non pervenivano notizie certe sullo stato di salute. Nella fase più acuta il mantenere i contatti con le famiglie delle persone malate mi ha molto coinvolto dal punto di vista umano. Mi rimarrà a lungo questo ricordo. Ripenso a qualche telefonata, il coinvolgimento era tale da farti mancare le parole e al termine avevi bisogno di farti un pianto per i fatti tuoi. Grazie a Dio da noi i numeri sono stati contenuti, con 22 positivi e putroppo 5 decessi di cui 3 di persone ricoverati in case di riposo. La fase acuta è stata sicuramente pesante, ma riguardando indietro spero che quelle telefonate, quell’essere presenti, vicini in qualche modo, siano stati di aiuto alle famiglie. Abbiamo attivato la protezione civile per le prime necessità e la polizia locale per la verifica domiciliare delle persone in quarantena. Quando siamo passati al portale di ATS la situazione era più organizzata, anche se i dati non erano sempre aggiornati tanto che a volte i riscontri arrivavano prima dai medici di base che hanno svolto un lavoro prezioso. È stato un lavoro di squadra, perché penso che una situazione del genere non si possa gestire in autonomia, visto che i soggetti coinvolti sono tanti e non è il caso di fare i primi della classe, ma di tirare su le maniche e lavorare per venirne fuori insieme, umanamente.
Questo aspetto legato all’umanità emerge anche negli atti. Spesso parli più di comunità che di paese o di amministrazione. È un dettaglio che ci ha colpito.
L’ho sempre chiamata comunità perché sono certo che lo sia. Con i mille difetti che ha Cerro al Lambro, è una comunità che sa esprimere un tessuto di volontariato eccezionale, con gente che si mette a disposizione nelle associazioni. Però noi abbiamo scavalcato un po’ anche l’idea di volontariato rispetto alle associazioni, perché quando il Comune ha chiesto direttamente una mano per fare alcune cose, la gente non si è rintanata dietro il concetto “paghiamo le tasse quindi sono fatti tuoi” come spesso si sente dire. Abbiamo infatti realizzato tanti progetti: bicibus, pedibus, servizi di accompagnamento agli anziani, tutti con volontari che si sono messi a disposizione, sapendo che lo facevano per il Comune e ovviamente, tramite il Comune, per i concittadini che potevano beneficiare di quei nuovi servizi. Spero che sia stato anche merito del lavoro che abbiamo fatto in questi anni. Se provi a far passare l’idea che apparteniamo tutti a questa comunità, poi magari non raccoglierai frutti abbondantissimi ma, come dimostra la nostra situazione, un buon raccolto lo puoi portare a casa. Secondo me su questo un po’ di lavoro c’è stato. Ed è stato così anche con la raccolta fondi, vi assicuro che tanti hanno risposto con generosità. Abbiamo lanciato l’idea delle magliette di Cerro al Lambro per supportare l’ospedale di Vizzolo, e in un attimo ne abbiamo vendute quasi 280. Secondo me, sono piccole cose, ma lasciano intendere che c’è quella sensibilità e quella generosità della gente che si sente parte di una comunità e risponde.
Quanto conta l’ascolto, per un amministratore, che, sembra di capire, almeno da quello che dici, abbia un particolare valore?
Ovviamente conta tanto, anche se a volte è faticoso.
È onesto ammetterlo.
Ci mancherebbe altro, anche perché sono abituato a rispondere puntualmente. Mi dedico un giorno alla settimana a ricevere i cittadini, c’è la mail, ci sono gli uffici a disposizione, tutti i canali istituzionali che la gente deve imparare a usare. Sono fatto così: non ho mai negato un appuntamento a nessuno. Dico sempre che ormai il mio numero di cellulare è più la gente che ce l’ha di quella che non ce l’ha. È faticoso, ma ti obbliga in qualche modo a sentire la necessità di avere quel confronto con chi ha il polso della situazione, se no entri in un vortice di problemi che ti fanno perdere il controllo della situazione. Non è sempre facile, ma lo dico sempre: in questi dieci anni sono venute anche persone a chiedermi di togliere loro la multa, e non ne ho mai tolta una. Non so, forse per la mia pacatezza, credo, ma nessuno è uscito alterato, perché la mia mezz’ora o la mia ora a chi pensava di non dover pagare la multa, io comunque l’ho dedicata ribadendo il fatto che le norme sono quelle e vanno rispettate, che ci sono le possibilità di fare ricorso, ma non può passare l’idea che uno va dal sindaco e a seconda della sua interpretazione si fa togliere la multa. È un po’ quello, credo, che ho cercato di trasmettere: che non c’è Superman a fare il sindaco, che non c’è qualcuno di altezzoso che è sicuro di quello che sta facendo, ma c’è uno che ha messo a disposizione tempo e risorse per la comunità, magari sbagliando anche. Per questo raccomando sempre anche ai giovani di impegnarsi per ritrovarsi da questa parte della scrivania.
Chiudiamo con il ricordo migliore che ti porterai dietro.
I ricordi sono tanti perché sono arrivato alla fine del secondo mandato, con un totale di vent’anni di amministrazione. Al di là dei tanti aspetti umani, della gente che è venuta a bussare alla porta e che abbiamo aiutato, penso che la cosa che mi ha lasciato veramente soddisfatto sia stata l’inaugurazione della nuova scuola primaria. Quel giorno vedendo tutte le famiglie davanti alla nuova scuola, a cui abbiamo dedicato anima e corpo, perché non ti arriva niente d’ufficio, è stato uno di quei giorni in cui trovi la risposta alla domanda “ma chi te l’ha fatto fare?”.
Ottima intervista.
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