giovedì 18 febbraio 2021

Welcome To The Club: Conte's Beer

Il vizzolese sa produrre anche la birra, ma cosa fa scattare la voglia di farsela in casa? Era un giorno d’estate, ero rilassato in spiaggia sotto l’ombrellone, guardavo il mare con l’impercettibile e inconscia voglia di dissetarmi, e nell’immagine delle onde che si infrangevano dolci sull’arenile, è salito il pensiero che se il mare fosse stato di birra mi ci sarei tuffato a bocca aperta. Era un sogno ad occhi aperti, ma da quel momento è scattato qualcosa. Ho preso in mano il tablet, ed ho cominciato a sfogliare la rete alla ricerca di “come si fa la birra”. Ebbene sì, sono entrato in un mondo dove la passione per questa bevanda la fa da regina, dove molti appassionati come me si misurano e si confrontano su stili, metodi, luppoli, aromi, fragranze, tecniche, insomma tutto quello che può esaltare il proprio orgoglio nell’aver ottenuto un prodotto che ti fa dire “questo l’ho fatto io”. Incomincia allora il percorso che dura circa un paio d’anni, dove leggi articoli, ti iscrivi ai blog, visiti i siti specializzati nella vendita di attrezzature, ti documenti sulla varietà di stili, studi i luppoli, ed intanto maturi l'idea di provare. Certo, che tra il dire ed il fare il fattore tempo è predominante, e ce n’è sempre poco. Ma un bel giorno ti torna a casa tuo figlio con il kit di homebrewing acquistato in giro per centri commerciali. Ok, si parte! Il kit contiene tutto il necessario, fermentatore, malto luppolato, lievito, sanificante, tappatrice, densimentro, aggeggi vari. Ero già pronto, mi ero fatto un bagaglio di informazioni sulle tecniche, che riassumendo in breve sono tre: 1) da estratti di malto già luppolati; 2) da estratti di malto più grani (malti speciali da ammostare); 3) All Grain, ovvero partendo dal malto in grani da ammostare. Scelgo ovviamente di partire dal primo gradino, cioè dai malti già luppolati. A mio favore gioca sicuramente il mio diploma di perito chimico industriale, quindi conosco le situazioni che entrano in gioco nel processo produttivo, tipo temperature, densità, volumi, rapporti di diluizione. Preparo il tutto, porto a volume l’estratto di malto luppolato che si presenta sotto forma di melassa densa ed appiccicosa (molto zuccherina) nel fermentatore, aspetto che la temperatura si stabilizzi e che sia compatibile con il range di esercizio del lievito (18°c/24 °c). Aggiungo il lievito, rimescolo in modo energico, chiudo il tappo e metto la valvola (gorgogliatore) perché la fermentazione deve avvenire in ambiente anaerobico. Incrocio le dita, ed inizia l’attesa...



Passa un giorno ed inizia la fermentazione con il suono del gorgogliatore che si diffonde per casa, l’emozione è tanta nel vedere che il processo naturale del lievito sta iniziando la trasformazione delle sostanze zuccherine contenute nel mosto di malto in alcool. I giorni passano, il gorgogliatore rilascia un suono amico, finché dopo circa dieci giorni si tace. Bene ci siamo, procedo alla misura della densità finale che sottratta a quella iniziale moltiplicata per un fattore costante che mi dice la gradazione alcolica ottenuta dopo la conversione degli zuccheri. Grandioso, ho ottenuto una gradazione di 5.4°, che rientra nel target dichiarato nel kit, procedo dunque a un travaso in modo da separare il lievito esausto depositato sul fondo del fermentatore e poter chiarificare la birra. Dopo due giorni dal travaso, procedo con l’imbottigliamento. In questa fase è prevista l’aggiunta di un quantitativo di zuccheri in proporzione al volume, che consente, grazie ai minimi residui di lievito in sospensione, di far partire il processo di rifermentazione in bottiglia detto anche carbonazione (priming), che svilupperà in modo naturale la CO2 con la conseguente produzione di schiuma durante la mescita. 



Dopo l’imbottigliamento la birra  va lasciata maturare almeno due mesi, e posso affermare che sono stati lunghissimi, tanta era la voglia di assaggiare il risultato di questa magnifica ed emozionante avventura. Ebbene, non credo per bravura, ma sicuramente con la giusta dose di fortuna oltre al tempo speso nello studiare le tecniche e la mia base di conoscenze scolastiche, il risultato è stato soddisfacente, quindi una buona base per dire “ok, si può fare!”. Da allora sono passati circa 3 anni e non ho più smesso di produrre la mia birra, affinata su stili inglesi, a partire dai malti, selezionando i luppoli, coccolando i lieviti. Gli stili che produco sono: English Ale, una birra ambrata con il giusto amaro, e valori fruttati rilasciati dai luppoli; Bitter, simile alla precedente per i malti utilizzati ma con l'utilizzo di luppoli che la rendono più amara; Porter, birra scura dal sapore tostato con retrogusto di liquirizia ed il giusto amaro. Non sono stati sempre momenti di gioia, perché l'errore è sempre dietro l'angolo, in particolare è estremamente importante mantenere i livelli di sanitizzazione elevati durante il processo altrimenti si butta tutto, ed è capitato in più di una circostanza, ma gli errori, se si riconoscono, servono a migliorare. Buona birra a tutti.

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